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LA GUERRA DEI ROSES
(THE WAR OF THE ROSES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 marzo 1990
 
di Danny De Vito, con Kathleen Turner, Michael Douglas, Danny De Vito, Marianne Sägebrecht (Stati Uniti, 1989)
 
"Ai rapporti d'amore e odio, alla volontà di costruzione che si tramuta, all'interno di una coppia, in desiderio d'autodistruzione, al confine sottile che divide il desiderio dall'aggressività, addirittura dalla repulsione, quando due esseri umani sono costretti da un legame dettato da leggi che sono anche economiche come quelle matrimoniali, il cinema ha dedicato (basti pensare ai confronti etilico-erotici dei coniugi Burton) momenti tra i più edificanti.

Ma Danny De Vito, l'attore tracagnotto di tanti secondi ruoli da IL PADRINO a ALL'INSEGUIMENTO DELLA PIETRA VERDE, riesce a far ancor meglio: confermandosi così quello specialista della rabbia in corpo, della black comedy portata alle estrema conseguenze che aveva lasciato presagire, nel 1987, il suo primo BUTTA LA MAMMA DAL TRENO...

Senza questa rabbia la guerra privata dei coniugi Roses, che s'incontrano ad un'asta di Nantucket per iniziare nel sesso diciott'anni di dovuta carriera in comune d'ascesa socio-economica, condurrebbe alla classica commedia d'alti e bassi, tutta ritmo, buon gusto ed happy end alla HARRY TI PRESENTI SALLY . Ma poiché De Vito non è Bob Reiner, e poiché il cinema è bello proprio per questo, ecco che a metà strada, proprio quando - oltre che sonnecchiare - cominciavamo ad avere tutto compreso, quello di De Vito cessa d'essere ciò ch'era stato fino a quel punto: un cinema d'attori sapienti e battute scontate, scorci romantici e scenografie in studio, veglie innevate di candele natalizie con la Morgan decappottabile nella calza di Babbo Natale.

Sotto gli occhi furenti della sontuosa Kathleen Turner il mondo - quello che non ha odore, poiché è quello dei soldi; e quello più fumoso, in quanto diabolico, dei sentimenti - comincia a crollare. Letteralmente: poiché la cinepresa instancabile di De Vito (incessantemente alla ricerca dell'angolo inedito, quello che permette d'intravvedere un personaggio, o un avvenimento da un punto di vista rivelatore) ci conduce allo sconquasso totale, alla distruzione determinata e ferocemente rinnovata del perbenismo materiale e spirituale .

La forza di un film come LA GUERRA DEI ROSES nasce dal fatto di generarsi in un quadro tranquillizzante come quello della commedia sentimentale. E di riuscire a dare l'impressione (espressiva, ergo psicologica) di voler andare fino in fondo, senza rispettare nessuna delle convenzioni che governano quel tipo di spettacolo.

Noi sappiamo (poiché i codici del genere fanno ormai parte della nostra memoria) che i due, dagli abissi tragicomici della loro furia distruttrice, "in fondo" si amano, desiderano e perfino rispettano: ma assistiamo ad un rituale che sempre di più ci appare ineluttabile, e probabilmente mortale. Ed è proprio in questo determinismo, in questa impossibilità di arrestare una meccanica inesorabilmente messa in moto, che il film trova non solo la sua coerenza e la sua veemenza critica nei confronti di un sistema rispettato da regole inalterabili.

Pur nel suo parossismo iconoclastico la cinepresa di De Vito non cede un attimo in lucidità: costantemente curiosa, indagatrice, volutamente ambigua quando si tratta di sottolineare le contraddizioni dalle quali il furore, la sessualità, l'assurdità, l'insospettabile tenerezza dei sentimenti dei personaggi emergono quasi controvoglia.

Così, in un crescendo davvero sorprendente, dopo essere stata commedia sentimentale, cronaca e perorazione furibonda, la guerra di De Vito sfocia in un finale che non rinuncia giustamente allo sberleffo tragicomico: ma da una dimensione, quella eterna d'amore e morte, che lambisce ormai i lidi difficili della poesia."


   Il film in Internet (Google)

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